Allevamenti intensivi: quando la legge del profitto prevale su etica, morale e ambiente

Allevamenti intensivi: quando la legge del profitto prevale su etica, morale e ambiente
Ogni anno vengono macellati 73 miliardi di polli, ovvero 200 milioni al giorno o 2314 al secondo. Solo in Italia ne vengono macellati più di 500 milioni all’anno, spesso quando a soli 35-45 giorni di vita (FAO 2023). Queste cifre la dicono lunga sul modo in cui l’industria della carne ha materializzato gli esseri viventi e reso gli animali oggetto di un sistema alimentare basato sulla produttività e sul profitto. Questa è la realtà dell’allevamento intensivo, con le sue conseguenze di vasta portata per l’ambiente e la nostra salute.

“Negli allevamenti intensivi – scrive Jonathan Foer – gli animali ricevono mangime addizionato con farmaci ad ogni pasto. Il problema era ben presente fin dall’inizio Nell’industria avicola è praticamente indispensabile. Il problema era ben presente fin dall’inizio, ma l’industria, invece di accontentarsi di animali meno remunerativi, ha compensato il sistema immunitario compromesso con gli additivi alimentari. Il risultato è che gli animali d’allevamento prendono antibiotici per ragioni non terapeutiche (vale a dire prima che si ammalino. (Se niente importa, p. 153). Gli allevamenti industriali, oltre all’eccessiva somministrazione di antibiotici, hanno bisogno di ingenti quantità d’acqua, producono grandi quantità di liquami che finiscono per inquinare i terreni e le acque e sono una delle cause della deforestazione e della perdita di biodiversità.

La quantità di mangimi necessaria a soddisfare il fabbisogno degli allevamenti intensivi è enorme. Dei 349 milioni di tonnellate di soia prodotti nel 2018, oltre il 90% era destinato al consumo animale, spesso importato e legato alla deforestazione in Sud America. Non sorprende quindi che gli allevamenti consumino l’80% dei terreni agricoli mondiali solo per coltivare cereali e legumi per l’alimentazione animale. Il consumo del suolo è accompagnato anche da una perdita di biodiversità, poiché le monocolture sono favorite per nutrire animali tutti allo stesso modo, a scapito della varietà. Ma non solo: secondo l’ISTAT, nel 2016, gli allevamenti intensivi sono anche responsabili del 60% delle emissioni di gas serra e del consumo di 317,5 milioni di metri cubi d’acqua. Si tratta di conseguenze gravi, soprattutto se si considera che questo tipo di allevamento copre solo il 18% del fabbisogno calorico mondiale e il 37% di quello proteico (Poore, Nemecek 2019).

Più un animale è lontano dall’essere umano in termini di emozioni e sensi, tanto meno sarà considerato un essere senziente e tanto meno ci sarà interesse per le sue condizioni di vita. Eppure gli animali sono esseri coscienti, dotati di capacità cognitive, comportamentali, emotive e sociali.
Ma spesso queste vengono trascurate per aumentare i profitti dei colossi che stanno dietro agli allevamenti intensivi. Gli esempi di disumanizzazione degli animali non mancano: le vacche devono essere sempre incinte per produrre più latte, i maiali partoriscono 19,5 piccoli invece dei 14-15 rispettivi in natura, i polli non riescono più a camminare dopo 6 settimane perché vengono“dopati” e passano la maggior parte del loro tempo fermi in mezzo ai rifiuti. Non a caso esistono le “gag law” che impediscono la divulgazione delle condizioni di vita e di lavoro all’interno degli allevamenti intensivi.

Un altro problema è la somministrazione massiccia di antibiotici e il rischio associato di sviluppare resistenze: una ricerca condotta dal Policlinico Gemelli ha dimostrato che la metà degli antibiotici somministrati in Italia sono utilizzati sugli animali da allevamento. Questo uso è reso necessario dalle scarse condizioni igieniche e dalla sovrappopolazione in cui vivono gli animali. La logica degli antibiotici è un metodo produttivista che chiude gli occhi sul vero problema degli allevamenti intensivi. Ad esempio, i maiali soffrono per il rumore, i lunghi spostamenti o la mancanza di spazi puliti, e, in questo caso, producono cortisolo. Invece di migliorare le loro condizioni, si selezionano altre tipologie di suini meno fragili e si somministrano loro antibiotici. Si è scatenata un’emergenza sanitaria perché sta diventando sempre più difficile prevenire e curare le infezioni batteriche a causa della resistenza agli antibiotici di molti batteri, che poi finiscono anche nei nostri piatti…

L’industria agroalimentare ha cercato di rendere pulito il lavoro sporco creando una dicotomia tra umano e animale e soprattutto tra animale e carne. Una separazione che permette alla nostra empatia di rimanere il più possibile atrofizzata, come sottolinea Francesca Grazioli, autrice di Capitalismo carnivoro.
Il mercato della carne è tuttora basato sulla competitività e sulla legge del più forte, che concentra il potere nelle mani di pochi. I quattro colossi statunitensi Tyson Foods, Cargill, JBS e National Beef hanno il sopravvento, mentre noi “consumatori” abbiamo l’illusione di poter scegliere e controllare, quando in realtà, dei sessanta diversi marchi di prodotti a base di proteine animale che si trovano sui scaffali dei supermercati di tutto il mondo, tutti appartengono ai quattro giganti dell’industria della carne (Meat Atlas 2021).

Sta a noi di decidere se accettare questo approccio o se cambiare le regole del gioco, abbattendo la dicotomia umano-animale e tornando a un rapporto sano con gli animali attraverso, ad esempio, la promozione di allevamenti estensivi, al pascolo, dove gli animali crescono naturalmente all’aperto e hanno la possibilità di scegliere come e quando nutrirsi e, soprattutto, la possibilità di vivere più a lungo senza essere sfruttati. Non può esistere una buona agricoltura senza un buon allevamento.

Nell’ambito di Sky Park, rassegna di film italiani stagionali proiettati con una vista inedita su Roma, verrà presentato un ciclo di documentari Slow CineFood per esplorare il rapporto tra cibo e cinema. Tra questi, è andato in onda Food For Profit, un documentario di Giulia Innocenzi e Pablo D’Ambrosi che guarda dietro le quinte degli allevamenti intensivi e l’insostenibilità di questo sistema in termini di salute, ambiente e rispetto dei piccoli produttori.

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