Acquistare il cibo a basso prezzo, il “sottocosto” dei supermercati che non ci dice nulla di come quel cibo è stato prodotto, significa quasi sempre dover pagare poi un conto salato in termini di costi ambientali, sociali e soprattutto in termini di salute. Dov’è la convenienza quando l’agricoltura industriale per produrre e distribuire queste “offerte” impoverisce il suolo, dissemina pesticidi e riduce la biodiversità? Mentre la nostra salute è minacciata dal consumo di prodotti ultraprocessati, l’industria alimentare che li produce sta causando gravi danni all’ambiente.
Le nostre scelte alimentari possono avere un peso importante nella salvaguardia dell’ambiente e la Giornata mondiale celebrata ogni 5 giugno, è una buona occasione per ricordarcelo. Le nostre scelte alimentari hanno davvero un impatto così importante sugli ecosistemi?
Oggi l’ambiente è più che minacciato da fenomeni come il consumo di suolo, la desertificazione, l’esaurimento delle risorse idriche o l’inquinamento delle falde acquifere, la perdita di biodiversità… e il sistema industriale della produzione di cibo contribuisce alla loro espansione. Per quanto riguarda il suolo, che non è una risorsa rinnovabile, la metà di tutte le terre fertili sono impiegate per la coltivazione. La FAO ci avverte: per formare 3 cm di suolo fertile, bisogna aspettare 1000 anni, e un campo da calcio di suolo viene eroso ogni 5 secondi. A questo ritmo, il 90% del suolo sarà in pericolo entro 2050.
Erosione, contaminazione da metalli pesanti, desertificazione, salinizzazione, sigillazione, perdita di sostanza organica… le minacce al suolo non sono rare. Come indicano i dati, in Italia il 47% dei suoli è in cattiva salute mentre il 60% dei suoli europei è degradato (Rapporto Re Soil Foundation 2023). Si stima che il 70% dell’acqua sia utilizzata dal settore zootecnico e agricolo, soprattutto intensivo (abbeveraggio, alimentazione, pulizia e infine lavorazione dei prodotti). La perdita di biodiversità, dal canto suo, è legata alla promozione di un sistema basato sulle monocolture che favoriscono la produttività a scapito della natura, per non parlare di intere foreste sostituite da allevamenti intensivi o di foreste di mangrovie eliminate a favore di allevamenti di gamberetti e pesci, che vengono catturati più velocemente di quanto possano riprodursi. Insomma, si tratta di fenomeni influenzati anche dalla produzione alimentare e che da decenni mettono in pericolo l’ambiente.
Erosione, contaminazione da metalli pesanti, desertificazione, salinizzazione, sigillazione, perdita di sostanza organica… le minacce al suolo non sono rare. Come indicano i dati, in Italia il 47% dei suoli è in cattiva salute mentre il 60% dei suoli europei è degradato (Rapporto Re Soil Foundation 2023). Si stima che il 70% dell’acqua sia utilizzata dal settore zootecnico e agricolo, soprattutto intensivo (abbeveraggio, alimentazione, pulizia e infine lavorazione dei prodotti). La perdita di biodiversità, dal canto suo, è legata alla promozione di un sistema basato sulle monocolture che favoriscono la produttività a scapito della natura, per non parlare di intere foreste sostituite da allevamenti intensivi o di foreste di mangrovie eliminate a favore di allevamenti di gamberetti e pesci, che vengono catturati più velocemente di quanto possano riprodursi. Insomma, si tratta di fenomeni influenzati anche dalla produzione alimentare e che da decenni mettono in pericolo l’ambiente.
Come possiamo contrastare l’impoverimento delle risorse attraverso le nostre scelte alimentari? Interagendo con l’ambiente, il cibo ha degli effetti sulle risorse che vengono prelevate e spesso sfruttate senza lasciarle il tempo di rigenerarsi, ma soprattutto, sebbene il cibo produca inevitabilmente emissioni, non tutti i processi produttivi incidono sull’ambiente nello stesso modo. In questo senso, adottare una dieta più giusta ed equa è un piccolo passo che può fare una grande differenza.
Slow Food Italia ha messo a confronto due diete diverse, distinte principalmente per l’origine e quindi la qualità dei prodotti. È stata calcolata la carbon footprint, che stima le emissioni di gas di un prodotto lungo tutto il suo ciclo di vita dalla produzione di mangimi, all’allevamento, alla lavorazione fino al confezionamento. I risultati sono chiari: per una dieta “ecologica”, il consumo settimanale è pari a 14 kg CO2 eq, mentre per una dieta poco salutare sia per la salute sia per l’ambiente il consumo è di 37 kg CO2 eq.
Ma cosa cambia realmente tra i due schemi? La dieta sana si basa su prodotti biologici e sostenibili, privi di sostanze chimiche. La carne proviene da allevamenti locali estensivi, così come i formaggi, prodotti con latte crudo di animali alimentati con cereali di qualità. Tra questi, i prodotti dei Presìdi Slow Food, che rispettano il territorio e le risorse e hanno quindi un impronta ridotta rispetto ai prodotti più “convenzionali” dell’industria alimentare. La dieta non salutare, invece, è una dieta iperproteica con un consumo sproporzionato di carne proveniente da allevamenti intensivi. Questa dieta è costituita principalmente da cibi processati e si basa quindi su un eccesso di zuccheri e grassi cattivi che, anche se non vengono ingeriti in quantità esagerata, rimangono sostanze nocive e si accumulano nell’organismo, creando gravi problemi di salute a lungo termine. Oltretutto, gli imballaggi utilizzati per il confezionamento del cibo industriale creano ulteriori scarti e consumo di energia.
Ma cosa cambia realmente tra i due schemi? La dieta sana si basa su prodotti biologici e sostenibili, privi di sostanze chimiche. La carne proviene da allevamenti locali estensivi, così come i formaggi, prodotti con latte crudo di animali alimentati con cereali di qualità. Tra questi, i prodotti dei Presìdi Slow Food, che rispettano il territorio e le risorse e hanno quindi un impronta ridotta rispetto ai prodotti più “convenzionali” dell’industria alimentare. La dieta non salutare, invece, è una dieta iperproteica con un consumo sproporzionato di carne proveniente da allevamenti intensivi. Questa dieta è costituita principalmente da cibi processati e si basa quindi su un eccesso di zuccheri e grassi cattivi che, anche se non vengono ingeriti in quantità esagerata, rimangono sostanze nocive e si accumulano nell’organismo, creando gravi problemi di salute a lungo termine. Oltretutto, gli imballaggi utilizzati per il confezionamento del cibo industriale creano ulteriori scarti e consumo di energia.
Il momento della spesa è quindi cruciale e le nostre abitudini possono portare a grandi cambiamenti: stare attenti a scegliere prodotti con un minore impatto ambientale, prodotti provenienti da filiere corte e dall’agricoltura biologica, e tutto questo nei luoghi di relazioni tra produttore-cliente: i mercati. Naturalmente, il discorso vale anche per la selezione dei ristoranti: cerchiamo di privilegiare le strutture che propongono cibo locale e biologico, così da contribuire a ridurre il nostro impatto sul clima Scegliendo i prodotti dell’agricoltura contadina, biologica e biodinamica, prodotti che rispettano i cicli naturali, possiamo fare la differenza. Mangiamo almeno tre volte al giorno, e se ognuno di noi sceglie con cura i cibi eliminando gradualmente i prodotti industriali, i cibi ultraprocessati e comprando in un mercato contadino invece che nella GDO, può dare un grande contributo alla tutela dell’ambiente, fino a cambiare l’intero sistema agroalimentare.
Il futuro del pianeta dipende dalle nostre scelte alimentari, quindi non dimentichiamoci di proteggere il suolo, le risorse idriche, gli impollinatori, gli oceani… attraverso piccoli gesti quotidiani che a prima vista sembrano insignificanti, ma che nascondono in realtà costi ambientali e sociali senza precedenti. Consumiamo meglio, prendiamoci il tempo per scegliere prodotti stagionali dell’agricoltura contadina e per apprezzarli, in altre parole rendiamo le nostre azioni quotidiane “sacre”, perché prestando attenzione alle nostre scelte alimentari, ci prendiamo cura di tutto
l’ambiente che ci circonda.
di Roxane Esalette